Il mio amico Maigret by George Simenon

Il mio amico Maigret by George Simenon

autore:George Simenon
La lingua: ita
Format: mobi
editore: Acrobat Distiller 7.0.5 (Windows)
pubblicato: 2009-08-29T22:00:00+00:00


Il mio amico Maigret

«Il che significa che non è stato lui?». «Non ho detto questo. Dico solo che Marcellin non poteva sperare di cavargli denaro». «Dimentica la ragazza». «Anna?». «Suo padre è molto ricco». Charlot ci pensò su, ma poi scrollò le spalle. In quel momento il Cormoran passò davanti alla prima punta rocciosa ed entrò in porto. «Se permette, aspetto qualcuno». E toccandosi ironicamente il berretto Charlot si diresse verso l'imbarcadero. Il fattorino del Grand Hôtel si impadronì dei bagagli di una giovane coppia di sposi, mentre il sindaco, che era salito a bordo, esaminava le etichette dei colli. Charlot aiutò una giovane donna a scendere a terra e la guidò verso l'Arche. Dunque aspettava davvero qualcuno. Doveva aver telefonato il giorno prima. A proposito, da dove aveva chiamato l'ispettore Lechat quando, il giorno prima ancora, l'aveva messo al corrente? Se aveva telefonato dall'Arche, dove l'apparecchio stava sul muro vicino al banco, l'avevano senz'altro sentito tutti. Doveva ricordarsi di chiederglielo. C'era di nuovo il dentista, nella stessa tenuta del mattino: non rasato, forse neppure lavato, e un vecchio cappello di paglia in testa. Guardava il Cormoran e tanto gli bastava. Sembrava felice di vivere. Forse Maigret e Pyke avrebbero fatto bene a seguire il flusso generale, a salire pian piano fino all'Arche, ad accostarsi al banco e a bere il bianchino che gli avrebbero servito senza nemmeno chiedere cosa desideravano. Il commissario sorvegliava il compagno con la coda dell'occhio, e Pyke, con tutta la sua impassibilità, aveva l'aria di spiarlo a sua volta. Perché non comportarsi come gli altri, dopotutto? A Hyères si svolgeva il funerale di Marcellin. Dietro il carro funebre Ginette rappresentava la famiglia e di certo si premeva sul viso il fazzoletto appallottolato. C'era afa, laggiù, in quei viali di palme immobili. «Le piace il vino bianco dell'isola, signor Pyke?». «Un bicchiere lo berrei volentieri». Il postino attraversò la nuda spianata della piazza spingendo il carretto con i sacchi della corrispondenza. Alzando gli occhi Maigret vide le finestre dell'Arche spalancate, e nel riquadro di una di esse Charlot con i gomiti appoggiati alla traversa. Dietro di lui, nella penombra dorata, una giovane donna si stava sfilando il vestito dalla testa. «Ha parlato parecchio, e mi domando se non avesse voglia di dire di più». L'avrebbe fatto in seguito. Un tipo come Charlot non resiste alla tentazione di mostrare che la sa lunga. Mentre si sedevano ai tavoli all'aperto, Maigret e Pyke videro il signor Émile, più che mai simile a un sorcetto bianco, che con un panama in testa avanzava a passettini nella piazza dirigendosi obliquamente verso l'ufficio postale, situato proprio in fondo, a sinistra della chiesa. La porta era aperta, e quattro o cinque persone aspettavano che l'impiegata smistasse la corrispondenza.

Era sabato. Jojo, a piedi nudi, lavava col secchio le mattonelle rosse della sala, e rivoletti d'acqua arrivavano fino all'esterno. Invece di due bicchieri di bianco, Paul portò una bottiglia. «Conosce la donna che è salita in camera con Charlot?». «È la sua amica». «È una che sta in una casa?».



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